LA BANDA GROSSI (2018, ITA. Di CLAUDIO RIPALTI. DRAMM \ STORICO)
Regia di Claudio Ripalti.
Con Rosario DiGiovanna, Camillo Ciorciaro, Roberto Marinelli
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Il Risorgimento in uno dei suoi tanti lati oscuri 1Quello che il cinema e gli sceneggiati televisivi hanno frequentato poco, impegnati sempre in opere stucchevomente agiografiche. Nel raccontare questa storiaa, in parte romanzata ma ispirata a fatti e personaggi reali, Claudio Ripalti si muove, insomma, verso Bronte (1972), cronaca di un famoso massacro compiuto in Sicilia dai Mille con la regia di Florestano Vancini che verso lo scandaloso e meloso (e storicamente inattendibie) santino televisivo propinatoci dalla RAI con il Garibaldi di Luigi Magni (1988).
Questo film, infatti, narra la storia di Terenzio Grossi, bracciante nullatenente diventato bandito per reazione ai soprusi dei padroni contro la sua famiglia che, con la sua banda di poveracci come lui, si rese colpevole di molti atti di violenza contro militari e strutture del nuovo stato nel nord delle Marche, tra il 1860 e il 1861, amato dal popolo ma braccato da un apparato di giustizia la cui corruzione endemica non è certo taciuta, e di cui Ripalti mostra ampiamente il carattere repressivo, contrapponendolo al carisma del protagonista. Che, comunque, non è certo visto come uno stinco di santo. Il regista, infatti, prende dal Western italiano, e in particolare da quel Django (Sergio Corbucci, 1966) da cui copia anche qualche inquadratura, proprio lo spirito anarcoide e la visione dell'eroe non del tutto scevro da ombre del passato. sceglie per fare ciò un espediente narrativo tanto abusato quanto efficace come la voce fuori campo di uno dei protagonisti.
Insomma, il film gioca abilmente tra realismo e concetto romantico del giustiziere ripara-torti, con prevalenza del primo punto e uno sguardo sostanzialmente anticonformista e vagamente anarcoide (vedasi la progressiva disgregazione della banda, vista dal regista come un desiderio di tornare alla normalità, dovuta alla corruzione di alcuni membri che vendono il protagonista alla giustizia in cambio di soldi e riduzioni di pena). L' opera è sostanzialmente ben diretta, anche se si notano i limiti di un budget non certo ragguardevole. Vengono citati, anche a livello di singole inquadrature, i film suddetti, ma il regista non soffre della sindrome da citazionismo fine a sè stesso che molti altri persentano. Perciò gli si perdona qualche tarantinismo di troppo.
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