TRAIN TO BUSAN (COREA DEL SUD 2016). HORROR.

Regia: YEON SAN-HO. COREA DEL SUD 2016). HORROR.

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Lui ha un lavoro appagante e redditizio, gestore di fondi. È un giovane professionista ambizioso e vagamente arrogante. Ciò gli ha mandato il matrimonio in frantumi. Per questo vive solo con sua figlia di otto anni. La ama, ma non sta mai con lei, ha da fare sempre. Ma un giorno decide di fare un'eccezione e va in treno a Busan, dove vive la moglie che odia, accompagnando la piccola che insisteva. Solo che, nel frattempo, tutto il paese è stato invaso da orde di zombi famelici e assetati di sangue. Il loro morso trasforma la vittima in zombi.. Ovviamente anche il treno è invaso. Lui si batte eroicamente per salvare la figlia, alleandosi con un rude operaio che lo odia per il suo lavoro da capitalista. I due si odiano ma avranno il tempo per comprendersi a vicenda perché dovranno battersi insieme contro quegli assatanati che si moltiplicano. Solo il loro sacrificio permetterà almeno a sua figlia e alla moglie di colui con il quale c'era disprezzo fino a poco prima di salvarsi, con le ultime scene che sono un trionfo della vita su tanto sangue.

Ci sarà un motivo per cui il pubblico di Cannes (festival certamente non abituato alle pellicole horror) ha apprezzato il film. Il canovaccio è classico da OMBRE ROSSE in poi: dentro un contesto ben delimitato nello spazio (una diligenza nel film di John FORD. Qui un treno in corsa) e con un esercito di nemici che ti assediano, indiani o zombie. Il regista, ovviamente, calca la mano sugli stereotipi con diverse scene cruente e mostrando di conoscere il cinema di quel Georgie Romero che nel 1968 fece fare agli zombi l'ingresso al cinema, e i tanti film nostrani che presero a modelli i lavori di lui cercando di imitare o differenziarsi un minimo (qui ci sono ricordi di PAURA NELLA CITTÀ DEL MORTI VIVENTI di Lucio Fulci). Ma ci sono altri fattori che non sono ascrivibili al genere. L'idea di morire per i tuoi cari è geniale e nel sacrificio di sé non solo per chi si ama (figlia o moglie incinta) il regista ha inteso offrire ai due dominati dal loro odio reciproco l'occasione di dare la vita per chi era un estraneo e con cui per giunta ci si odia. Una visione del sacrificio di sé stessi per un altro difficilmente rintracciabile in un horror. Emblema di ciò sono due scene. In quella della morte del giovane capitalista e separato padre della bimba c'è un flashback che spezza la scena per pochi secondi, con l'uomo che ha in braccio la bimba appena nata. Come a dire che lui non è quello spietato e cinico affarista che millanta di essere. C'è anche in lui una consistenza umana. E la scena finale diventa ancora più importante: la bambina è la ragazza dell 'altro, uniche persone sopravvissute, sfilano per le strade della città in mezzo a tanti morti e tanta desolazione. Sono impaurite, anche se vive...a osservare le loro mosse ci sono i giovani soldati mandati a ripulire le strade dal sangue e dai corpi esanime...sono nervosi e le credono degli zombi...c'è silenzio....ma la voce della piccola che canta una canzoncina eseguita l'anno prima nel corso di una recita scolastica di cui, tanto per cambiare, il padre si era dimenticato con suo grande dispiacere, non solo scioglie il cuore dei soldati ma dichiara il trionfo della vita sulla morte e sembra dire a noi: "si...mio padre non c'era mai...ma ha dato la sua vita per me e per altri. Ha ripreso per un pelo la sua umanità "

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