DON CAMILLO / 1952, FRANCIA E ITALIA. JULIEN DUVIVIER

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Pellicola  liberamente ispirata da alcuni racconti di Giovanni Guareschi. Don Camillo (Fernandel) non sopporta il fatto che,  alle prime elezioni libere, nel 1946, le urne abbiano premiato la lista comunista capeggiata da Giuseppe Bottazzi, detto Peppone (Gino Cervi), meccanico per professione ma sindaco comunista per vocazione e suo agguerritissimo avversario politico. Inizia una lunga contesa, con diversi colpi bassi (sganassoni e risse da bar inclusi). Dapprima litigano per il nome dell'ultimo bambino di Peppone da battezzare, poi perché Peppone antepone la costruzione della nuova casa del popolo rispetto alla città- giardino cara al sacerdote. Poi, c'è lo sciopero dei braccianti delle grandi aziende agricole del posto, che, imbeccati dal sindaco e in guerra perenne con i loro padroni, incrociano le braccia e decidono di non mungere le vacche degli allevamenti, le quali rischiano la vita per il latte rimasto loro in corpo che ne rende le mammelle troppo turgide. Don Camillo, al solito, interviene per far ragionare entrambe le parti. Ma la sua indole irruenta gli costerà il trasferimento. 





Don Camillo, personaggio ispirato a tre sacerdoti realmente cessati, è un piccolo sacerdote iracondo e manesco, che vive la sua Fede immerso profondamente dentro la realtà del suo territorio e della sua gente, quel mondo piccolo, come lo chiamava Guareschi. Ma soprattutto la vive come una familiarità, una quotidianità, con il Signore, intrattenendosi in   dialoghi stupendi con Lui (che rappresenta la voce della sua coscienza), di cui,  alla fine,  accetta sempre i rimproveri bonari perché sa di essere amato da Lui.  In particolare,  parla spesso con il Crocifisso conservato nella sua chiesa a Brescello, comune del ferrarese dove si svolge tutta la vicenda. 

Ma questo suo rapporto speciale con il Mistero non è mai fine a sè stesso. Passa attraverso la carne, determina ogni aspetto della sua vita, è alla base di tutto, del relazionarsi con la sua gente e con lo stesso Peppone, poiché tra loro due (che hanno combattuto insieme il nazifascismo), pur nella differenza di vedute, vi era una stima reciproca, una grande amicizia, seppur abilmente dissimulata, dovuta al grande cuore di entrambi e al gran bene che tutti e due vogliono al loro popolo. Un'unità d'intenti che va ben oltre gli steccati, e di cui oggi avremmo un gran bisogno. 

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