ZEDER (ITALIA, 1983. HORROR. Regia di Pupi Avati)

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Bologna, 1983. Stefano è un giovane aspirante scrittore.  Sua moglie gli regala una macchina da scrivere presa da un monte di pietà, e lui, scoperte alcune misteriose righe scritte nella pellicola, scopre l'esistenza di uno scienziato, tale Zeder, che nel 1956, a Chartres (Francia), teorizzò e scoprì l'esistenza di terreni che nascondessero tra le loro viscere la proprietà di far tornare in vita i cadaveri. In quell'anno, nella cittadina francese,  un'anziana signora si recò all'esterno di una lussuosa villa e chiamò a gran voce la signora Humbert, deceduta da tempo. Da quel momento, Stefano decide di venire a capo della storia dei suddetti terreni (chiamati terreni x), della cui esistenza trova traccia anche in Emilia, presso la necropoli etrusca di Spina e tra le mura di un grande e lussuoso albergo in costruzione a Rimini, coinvolgendo anche la moglie Alessandra e tutti i suoi cari, tra tombe antiche e preti spretati dediti a riti esoterici e un finale tragico e volutamente aperto a due soluzioni, che vedrete nel film allegato a questo articolo).

In un genere dominato dagli Zombi di Romero e da Argento (e i suoi imitatori più o meno passabili), Avati sceglie di non puntare molto sul sangue e di non seguire quella via, che riteneva (così disse in un'intervista a L'Unità l'anno seguente) un po' troppo scontate. Continuando a puntare al contrasto tra la fama di terra mite e solare della sua regione e i misteri che egli racconta ambientandoli proprio in quei luoghi. Ma alla violenza diretta e senza fronzoli lui preferisce i rimandi, le sfumature, non tanto dei personaggi che, a mio avviso, potevano essere meglio tratteggiati, ma di storia e ambienti, tratteggiati in un modo fine e delicato che non sarebbe tale se il regista calcasse la mano sul Grandguignol o su una tecnica tanto sopraffina quanto in grado di imporsi in modo diretto sullo spettatore come il linguaggio argentiano.