ROCKY (USA 1976, DRAMM. JOHN G. AVILDSEN).

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Il lungometraggio che fece fare a Sylvester Stallone,  autore pure del  soggetto e della sceneggiatura (riceverà un Oscar), il balzo decisivo. La musica immortale di Bill Conti illustra un grande film in cui la versione moderna del sogno americano si fonde con una descrizione d'ambiente efficace e monumentale ma mai tronfia. Apollo Creed  (Carl Weathers, che poi rivedremo nel mediocre terzo capitolo e nella serie TV Action Jackson negli anni '80 del XX secolo) decide di mettere in palio il suo titolo mondiale organizzando un match in occasione del duecentesca anno dell'indipendenza proprio a Filadelfia, città dove fu firmata la dichiarazione.  Decide di battersi con un bianco e, soprattutto, di dare ad uno sconosciuto la possibilità di disputare il match della vita e aggiudicarsi il titolo. Lo sceneggiatore Stallone consegna al futuro divo (tramite una regia mai banale) un personaggio da inserire armoniosamente in una descrizione d'ambiente efficace, e il merito di tutti è proprio mescolare con grande sapienza ed evitando scivolate banali tutti gli stereotipi del cinema sulla boxe. Ma nei cinqueepisodi seguenti tutto sfuggedimano a Stallone,  divenuto regista.

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