SCHINDLER'S LIST - LA LISTA DI SCHINDLER (1993. Steven Spielberg)

Con Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fienness.

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Spielberg sentiva che doveva girare questo film, proseguendo un percorso di riavvicinamento alla propria cultura (da cui in gioventù provò a dissociarsi) iniziato privatamente anni addietro anche grazie a Kate Kapshaw, sua seconda moglie già vista in Indiana Jones e il tempio maledetto, secondo film della serie (1985) e  certamente il meno amato dai fans. Il regista sceglie,  aldilà delle apparenze,  la continuità con la sua visione del cinema (ribadendo,  tra l'altro,  la sua attenzione per il mondo dell'infanzia seppur da presupposti agli antipodi rispetto ai film precedenti), con quella fotografia molto classica in uno splendido bianco e nero debitrice tanto (e dichiaratamente) alla Grande Guerra (1959, Mario Monicelli) quanto al lavoro documentaristico della regista delle grandi parate naziste Leni Riefenstahl (Il trionfo della volontà, 1935),  che lui ama. 


Ma la sfida, lanciata ai detrattori,  è un'altra: dimostrare di saper affrontare anche il cinema "per adulti". Ci era riuscito nel 1988 con L'impero del sole ma voleva fare il passo decisivo. E parte da una figura realmente esistita, Oscar Schindler ( membro del partito nazista che, partendo dal suo progetto di dar vita a una fabbrica di bicchieri, pentole, tazze da campo per i soldati al fronte, reclutò un migliaio di ebrei come manovalanza schiava e nè salvò tanti dai Lager), dando vita a un uomo moralmente squallido, lontano anni luce  dal grande eroe classico. Un personaggio che usa l'arma della corruzione, che sa come odiare la macchina di potere di cui fa parte, è che soltanto quando viene drammaticamente posto di fronte al sopruso, all'ingiustizia e alla disumana quotidianità del male fa una scelta di campo drammatica e tutt'altro che scontata. Una banalità del male (per citare Hannah Arendt) che chiama a rispondere e a reagire l'umanità dei personaggi,  e di fronte a cui la risposta data da Schindler è antitetica a quella dell'ufficiale nazista impersonato da Ralph Fienness, con il primo che lascia parlare quel fondo di umanità che c'è in lui e il secondo che, alla fine,  la soffoca nella nebbia e nel fumo dell'ideologia disumanizzante. Un'umanità che emerge dallo script che il regista ha tratto dal libro omonimo di Thomas Keneally e dalla splendida sceneggiatura di Steven Zaillian, e che forse è in qualche modo legata alla scelta di affidare il ruolo del protagonista a un attore come Neeson, fino ad allora non notissimo (era apparso nel 1991 nello stupendo horror di Sam Raimi Darkman). Il quale, come tutto il cast, offre il meglio di sé.  Risultato: un trionfo ai botteghini di tutto il mondo e sette meritatissimi Oscar. 

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