PANE E FIORE (IRAN 1997. Mohsen Makhmalbaf. Drammatico)

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Il film è un inno al metacinema. È ambientato in un set dello stesso regista (che recita nel ruolo di sè stesso), durante le riprese di un film in cui viene raccontato un episodio della sua giovinezza, quando accoltellò una giovane guardia dello Scià. Quest'ultima, saputo del film, si presenta sul set e, digiuno di regia, viene incaricato di far entrare nella parte il suo alter ego. Lo stesso fa il regista con l'attore (scelto dalla strada, come tutti) che lo interpreta da giovane. Ma i due, in mezzo a tante traversie, dubbi e fragilità giovanili rimosse col tempo ma drammaticamente riemergenti,  non riescono a trasformare i due giovani in...loro stessi in quegli anni, a far rivivere loro quell'episodio che ha segnato la vita di entrambi.  Come se, nonostante il finale di gusto decisamente pacifista in cui il giovane attore che impersona Makhmalbaf nel 1977, molto impacciato, non accoltella la guardia (come previsto nello script e come accadde nella realtà) ma le offre, appunto, un pane e un fiore, emergesse nel regista la certezza venuta di amarezza e disillusione, che nè lui come artista e nè il cinema in generale possano trasformare, o almeno modificare, la realtà . Versione ancor più pessimista, se si vuole, della convinzione secondo cui, comunque vada, il mito è superiore alla storia, mutuata dal John Ford di L'uomo che uccise LibertyValance (1962),  non a caso citato in alcuni dialoghi di questo film. Il regista userà spesso, in diverse altre opere, il linguaggio del metacinema. 

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