IL VANGELO SECONDO MATTEO ..PASOLINI

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Dal volantone di CL,  Pasqua 2020




Sprofondare o rituffarsi nella visione del film Il Vangelo secondo Matteo - da cui è tratto il fotogramma del Volantone di Pasqua 2020 - a oltre mezzo secolo dalla sua fattura (1964), in quel bianco e nero così brullo ed austero, in quei volti così straniati e disavvezzi alle stanze della celebrità cinematografica, in quello svolgersi dei fatti così poco levigato da una sceneggiatura scabra e quasi rispettosamente assente, sospinge lo spettatore ad interrogarsi non solo sulla vicenda narrata, non solo sullo stile dell’opera filmica («Fedele al racconto ma non all’ispirazione del Vangelo»L’Osservatore romano, 1964; «Forse la migliore opiiiiiiiiii8888⁸iiera su Gesù nella storia del cinema»L’Osservatore romano, 2014), bensì anche sulla ricerca interiore del narratore, il regista emilian-friulano Pier Paolo Pasolini. Che bisogno aveva un marxista come lui di portare su grande schermo, con lealtà filologica, una storia in cui «non credeva», la storia di Gesù di Nazareth tratta da un Vangelo neanche apocrifo, bensì da uno dei tre sinottici proclamato per secoli dai pulpiti delle chiese cristiane? Forse avvertiva impulso analogo a quello che un anno prima aveva spinto papa Giovanni XXIII a rivolgersi con la Pacem in terris «a tutti gli uomini di buona volontà». Ma il perché profondo percorre l’intera esistenza di Pasolini e dunque cercheremo di documentarlo con alcune delle sue stesse parole.

Dal volantone di CL, 2020. Pasqua 

Sprofondare o rituffarsi nella visione del film Il Vangelo secondo Matteo - da cui è tratto il fotogramma del Volantone di Pasqua 2020 - a oltre mezzo secolo dalla sua fattura (1964), in quel bianco e nero così brullo ed austero, in quei volti così straniati e disavvezzi alle stanze della celebrità cinematografica, in quello svolgersi dei fatti così poco levigato da una sceneggiatura scabra e quasi rispettosamente assente, sospinge lo spettatore ad interrogarsi non solo sulla vicenda narrata, non solo sullo stile dell’opera filmica («Fedele al racconto ma non all’ispirazione del Vangelo», L’Osservatore romano, 1964; «Forse la migliore opera su Gesù nella storia del cinema», L’Osservatore romano, 2014), bensì anche sulla ricerca interiore del narratore, il regista emilian-friulano Pier Paolo Pasolini. Che bisogno aveva un marxista come lui di portare su grande schermo, con lealtà filologica, una storia in cui «non credeva», la storia di Gesù di Nazareth tratta da un Vangelo neanche apocrifo, bensì da uno dei tre sinottici proclamato per secoli dai pulpiti delle chiese cristiane? Forse avvertiva impulso analogo a quello che un anno prima aveva spinto papa Giovanni XXIII a rivolgersi con la Pacem in terris «a tutti gli uomini di buona volontà». Ma il perché profondo percorre l’intera esistenza di Pasolini e dunque cercheremo di documentarlo con alcune delle sue stesse parole.

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